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Calcio

Parla Pellegrini: “Ho pensato di lasciare Roma, vi dico la mia su Mou e De Rossi”

Il numero 7 della Roma ha parlato ai microfoni de Il Romanista. Di seguito la seconda parte della lunga intervista rilasciata al quotidiano.

Sei rimasto qui, ma hai avuto la possibilità di andare via? Ci sono state offerte? Ci hai pensato?
“Ci ho pensato, ovviamente. E più che offerte, ci sono stati interessamenti. Ma comunque quell’infortunio è stato troppo determinante in quel momento. Ancora non mi allenavo con la squadra; ho fatto la prima panchina simbolica a Pisa, dopo essermi allenato una volta con gli altri. In più, sono uno a cui non piacciono le cose fatte all’ultimo: se devo fare una cosa, devo pensarci bene, essere convinto di ciò che faccio”.

Lorenzo Pellegrini e Gasperini a colloquio – DajeRomatv.it

Ora non c’è più da pensarci…
“No, ora no (ride, ndr). Ora c’è da giocare. Poi, quel che sarà, sarà”.

È stato bello vedere come hai reagito ai fischi. Sei il capitano della Roma e 40mila persone – solo 40mila perché la Sud non lo ha mai fatto – ti fischiano…
“Alla fine è il nostro lavoro. È brutto dire che ci si abitua, ma ci si abitua a essere giudicati, questo sì. Il problema di quei fischi, come un po’ dell’anno scorso, è che io ero più incazzato di loro per quello che era successo. E dopo un po’, essere fischiato per ogni cosa che va male, anche quando non ci si entra nulla… Io non ho problemi a dirlo”.

Parlavi di De Rossi prima.
“Per me Daniele è e sarà un grande allenatore. Spero che a breve possa tornare in panchina, perché quello che ho visto in lui sul campo – e non parlo di lui fuori dal campo, dato che tutti conoscono il nostro rapporto – lo fa apparire ai miei occhi come un allenatore importante. Forte, preparato. Che studia bene l’avversario e che mette il giocatore nelle condizioni di entrare, la domenica, e sapere tutto ciò che succede. Era facile giocare con lui allenatore”.

Raccontaci di quando hai cacciato Mourinho…
“Sì… (ride, ndr). A me piaceva Mourinho. Quello che è accaduto, e che mi è stato detto, è che a lui quando è andato via è stata raccontata una cosa che non era vera. Ma io non potevo lasciar correre questa cosa così, per il rapporto che ho con lui”.

Con lui poi, nell’anno della Conference, hai fatto una grande stagione…
“Quelle sono le cose che rimangono. La coppa è storia. Poi ci fu la mia grande stagione… Ma è proprio il rapporto che rimane. Il giorno stesso ho preso il telefono e ho chiamato Mourinho”.

All’inizio questa cosa non era stata raccontata per intero.

“È vero. Ma se una persona rimane male di una cosa, io devo chiamarla e chiedere il motivo. Non era il mio periodo di forma migliore, ma può capitare. Le partite non si vincono o perdono in uno, ma in venti. Per quanto riguarda il resto e le cose che sono state dette su di me, non c’era niente di vero”.

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Pellegrini deve imparare a sorridere, come si diceva l’anno scorso?
“L’anno scorso, sicuramente ridevo poco”.

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Ti ritieni un ragazzo introverso?
“Mah, introverso… Sicuramente non sono uno “stupidino”. Per me la romanità non è essere stupidini o frivoli. Ma venire qui tutti i giorni, dare il 100%. Io non sarò mai Totti, non sarò mai De Rossi. Sono Pellegrini. Non darò mai anche solo l’1% in meno fino a quando sarò qui. Ma non parlo della domenica. Parlo di ciò che accade tutti i giorni qui, a Trigoria”.

E perché la gente ce l’aveva con te, per un periodo? Per il fatto che eri tu il capitano? Per la storia di Mourinho?
“Magari sì, magari un po’ tutto. Poi bisogna essere onesti, e io lo sono: quella dell’anno scorso è stata una stagione brutta brutta. Anche al livello delle prestazioni, del giocatore, del professionista. Lasciamo stare Lorenzo, la Roma, la romanità. È stata una stagione brutta. Quello ci sta. Se vengo criticato per la prestazione, è un discorso. Siamo professionisti, è lecito. Io come giocatore posso piacere, non piacere, stare o non stare simpatico. La cose che mi manda in bestia è che dentro questa città si parli di cose che non accadono mai. Che succedono al di fuori, nella testa di qualcuno. E da quella testa, quella cosa riesce a entrare in altre cinquantamila teste.  È quello il problema”.

Magari avresti dovuto dire qualcosa prima? Intervenire di più. Te lo sei mai chiesto?
“Sì… Il problema è che se lo si fa una volta, bisogna poi farlo ogni volta, ogni settimana, a Roma”.

Tu ti sei fatto qualche domanda sul basso livello di forma dell’anno scorso? Si parla di forma fisica?

“Sicuramente. Ma se una persona pensa a me come un interditore, allora vuol dire che non capisce nulla di calcio. È normale, ognuno ha le sue qualità. Quello che penso si capisca meno di me è che io non sono un attaccante. Io sono un centrocampista: devo giocare con la porta di fronte a me, lì do il 100% delle mie qualità. Non devo stare spalle alla riga del fallo laterale e puntare nell’uno contro uno. Non è una mia caratteristica. Soulé è così. Non io. Poi, il discorso dei gol, del tiro, dell’inserimento e del fatto che io sia stato spostato un po’ più avanti è diverso. Io sono un centrocampista. Che sia nei due mediani, o mezzala, che è il mio ruolo preferito, dato che mi permette di avere spazio, abbassarmi, ricevere palla, muovermi… La mia idea di me in una partita è riuscire a fare un po’ tutto: abbassarmi per fare uscire la squadra; anche difendere, perché non mi pare che io mi sia mai lamentato di dover fare una corsa”.

Anzi. La cosa più bella che hai fatto con la maglia della Roma è…
“La corsa in Roma-Venezia…”.

Fu fantastica. Al 90’… In una partita ‘inutile’…
“Eh, inutile… Ci ha fatto andare in Europa League quella partita”.

Già. Se avessimo perso, non ci saremmo arrivati…
“Però dovevamo vincere la Conference… Avevamo l’altra opportunità, però una finale è imprevedibile. José mi disse: “Tu sei matto… Al 90’ ti fai una corsa così prima della finale”. Mancavano quattro giorni. Feci 80 metri di sprint per recuperare il pallone”.

Per migliorare la forma, hai cambiato qualcosa nell’allenamento?
“Ho continuato a lavorare. Basta, E poi, secondo me, più gioco e più sto bene”.

A proposito di gioco, sembra proprio che la Roma calci male in porta. A Milano, in 37’ con quella qualità lì, con la capacità di andare a far male 11 volte all’avversario… A fine partite si pensa: “Ma come è possibile?”. A qualcuno dei nuovi pesa un po’ la maglia? O pensate che si possa cambiare in poche partite?
“Secondo me bisogna essere onesti, ogni tanto. Possibile che dobbiamo sempre avere qualcosa di cui lamentarci? Siamo un popolo che si ritiene il più forte del mondo dopo una vittoria e che sta a terra dopo una sconfitta. A San Siro, contro il Milan, siamo arrivati a tirare undici volte in porta. In altri anni, abbiamo fatto un tiro. Certo, è una delle cose migliorabili e che va migliorata. Il pensiero di arrivare sui 25 metri e non dire: “Tiro”; ma magari: “Alzo un po’ la testa, faccio un uno-due… E invece che dai 25 metri, tiro dai 20”. Fa la differenza. Tirare da dentro l’area o da quattro, cinque metri fuori fa la differenza. Il portiere ha un tempo di reazione minimo. Dai 25 metri va fatto il tiro della domenica”.

Gasperini sembra credibile.
“Per noi, assolutamente sì. Lo seguiamo tutti”.

Questo è importante, magari l’anno prossimo si pensa a vincere lo scudetto. O l’Europa League…
“Tu scherzi… Io però l’ho detto, la strada è giusta. Per i romanisti come noi, la strada è giusta. Che sia in campo o fuori”.

C’è stato un momento difficile che hai attraversato a livello personale l’anno scorso e che magari ha inciso sul tuo rendimento.

“Sì perché a un certo punto alle chiacchiere inventate su di me ho dovuto sopportare anche la scomparsa di mia nonna, a cui ero legatissimo. Nonna Michelina. Non è stato facile e forse ne ho risentito”.

Ci racconti il rapporto con la Curva Sud? Anche nelle contestazioni, i fischi non sono mai arrivati da quella parte di stadio…
“Io nella Sud mi riconosco tanto. Se ti devono dimostrare il loro dissenso, te lo mostrano a fine partita. Per una sconfitta o per una prestazione non all’altezza della maglia che indossi. Non per partito preso o per sentito dire. Cose non vere, tra l’altro. Quindi mi riconosco nel loro modo di ragionare, anche nel fatto che se c’è un momento difficile è quello il momento di non disunirsi e restare insieme. Mio padre mi dice sempre che tifava la Roma quando arrivavamo 17esimi o 16esimi… la Roma si tifa a prescindere. Non si discute, si ama. Poi se vogliamo, possiamo stare 15 ore a parlare della tattica, del tiro di piatto… la verità è che uno nei momenti difficili vede davvero quali sono le persone che ci tengono. Gli altri non li calcolo proprio”.

Gasperini ripete spesso che la squadra dà tutto..
“Questo è vero, ma parte dal fatto che è un gruppo sano. Nel momento più difficile con Juric, avevamo i giorni liberi ed eravamo in 10 qui a Trigoria ad allenarci e a cercare di far andare bene le cose. Solo che queste cose fanno meno rumore rispetto al dire che nello spogliatoio c’è la mafia, che ci sono tre persone che comandano Trigoria. Quelle sono pagliacciate, non mi piacciono”.

Qual è il tuo sogno da calciatore adesso?
“Il mio sogno adesso? (Ci pensa un po’, ndr). Il mio sogno è capire di che livello sono. Il mio sogno era giocare per la Roma e vincere con la Roma. Ho avuto la fortuna di realizzarlo, vincere è sempre un sogno, poi con questa maglia… Ma la mia romanità è amare la Roma a prescindere”.

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Luca Budini

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