Dopo mesi di silenzio l’ex capitano e allenatore giallorosso, torna a parlare in due lunghe interviste a Il Corriere della Sera e Sky Sport. Diversi i temi trattati, tra i quali, l’esonero dalla Roma avvenuto a settembre.
A distanza di mesi dal suo addio dalla Roma, Daniele De Rossi è tornato a parlare in due lunghe interviste a Il Corriere della Sera e Sky Sport. Il tecnico ha trattato diversi argomenti, tra cui, l’esonero dello scorso settembre dalla sua Roma.

Nella testa di qualche tifosi c’era la speranza di tornare a vederlo sulla panchina giallorossa grazie al supporto di Claudio Ranieri. Invece nella stagione che verrà, per l’allenatore italiano ci potrebbe essere la possibilità di accasarsi in qualche squadra di Serie A, o chissà se potrebbe cogliere al volo l’opportunità di accettare una proposta dall’estero. Di seguito le parole di Daniele De Rossi.
De Rossi: “Felice e onorato di aver allenato la Roma”
De Rossi, togliamoci subito il dente: ma che era successo?
“Non deve chiederlo a me. Avevamo impostato un progetto di lungo periodo. Nella mia testa c’era l’idea di crescere insieme a una squadra giovane e alcuni giocatori più esperti con l’obiettivo di lottare per lo scudetto nel 2027, l’anno del centenario. E invece…”.

E invece la sua stagione è durata appena quattro partite e tre punti.
“So che nel calcio senza i risultati il tempo non te lo dà nessuno, ma tutto è stato accantonato davvero troppo presto. Le stagioni ormai cominciano a metà agosto, noi abbiamo fatto il ritiro con 16 ragazzi della Primavera, il mercato aperto e la squadra ancora tutta da costruire. Gli ultimi 4-5 acquisti li ho allenati solo per pochi giorni”.
«Un giorno allenerò la Roma», aveva sempre detto. È stato più un motivo di gioia guidarla prima del previsto o doverla lasciare all’improvviso?
“Due sensazioni fortissime. Ma voglio tenermi l’onore e la felicità di averla allenata ed esserne stato all’altezza. Averla lasciata così presto, mi lascia la possibilità di riprovarci un giorno. Non lo vivo come un assillo, ma tanti allenatori, ultimo Ranieri, sono tornati nello stesso club più di una volta. Come diceva Califano: non escludo il ritorno”.
Cosa rimprovera ai Friedkin?
“Forse di non avermi parlato prima di prendere una decisione così drastica. E anche io avrei dovuto alzare più spesso il telefono visto il rapporto che avevamo. Ma li continuo a ringraziare perché mi hanno concesso di allenare la squadra del mio cuore. La decisione finale di esonerarmi l’hanno presa loro, ma credo sia stata tanto indirizzata, anche con versioni non rispondenti al vero, da chi oggi non c’è più. E non ha lavorato per il bene della Roma”.
Per diversi mesi la Roma non ha voluto più vederla neanche in tv.
“In quel momento per me era fonte di sofferenza. Se una donna che ami alla follia ti lascia, non riesci a guardarla camminare felice, mano nella mano, con un altro uomo. Ma ormai è passato: sono tornato a vedere la Roma e ad essere contento delle sue vittorie”.
Ha mai pensato: i risultati di Ranieri li avrei raggiunti anche io?
“No, perché nessun tecnico è uguale a un altro. Certamente l’intelligenza, l’esperienza e il pragmatismo di Ranieri sono stati fondamentali in quel momento. Posso solo dire che le mie emozioni vedendo l’Olimpico pieno di bandiere contro il Bilbao in Europa League, non sono state inferiori alle sue. Sarei voluto essere in mezzo a quel mare giallorosso: è stata una delle manifestazioni più belle, nella sua semplicità, che una tifoseria abbia mai messo in scena. Nessuna coreografia artificiale: ognuno con una bandiera mezza giallo e mezza rossa, come quando si era bambini”.
Lei ha ancora un contratto per due anni.
“Sì, ma spero di farne presto uno con un altro club. Il contratto non è un vincolo per me”.
Come considera la regola che impedisce a un tecnico esonerato dopo poche partite di poter allenare un’altra squadra in A?
“Sbagliatissima: tutto il mondo ha regole diverse. La mala- burocrazia che spesso ferma il Paese esiste anche nel calcio. Prendere un patentino di allenatore è come scalare l’Everest e una persona “normale” non può farlo se non ha una carriera nel calcio alle spalle: perché? E perché un proprietario non può far guidare la propria squadra a chi vuole lui? Per non parlare degli stadi che non si riescono a costruire”.
Parliamone invece…
“A Roma c’è chi vorrebbe bloccare il progetto dei Friedkin da un miliardo per difendere una mini area abbandonata dove sono cresciuti alcuni alberi. Lo stadio a Tor di Valle saltò anche per salvaguardare una sconosciuta tribunetta storica semi distrutta dove bivaccavano i topi nella sporcizia. Questa per me è follia.Anche il progetto di Lotito sul Flaminio, inutilizzato da anni, incontra difficoltà. Paesi meno ricchi e sviluppati del nostro hanno impianti migliori. Tutto per colpa della burocrazia”.
Cosa ha lasciato lei alla Roma?
“Un gruppo sano, una dedizione al lavoro. E alcune giuste intuizioni”.
Ha lanciato Svilar, fatto prendere Angelino, Soulé, Konè. C’è qualche altra intuizione che le è stato negata?
“Sì, ma capita a tutti i tecnici. Non bisogna ricordare solo quello che ci fa comodo: io avrei puntato sul rilancio di Moise Kean, ma ho anche detto no a Retegui, poi capocannoniere”.
Cosa cerca adesso?
“Un progetto stimolante, una piazza passionale che viva per il calcio e dei dirigenti che abbiano una grande voglia di lavorare con me”.
Riassuma il suo calcio in tre concetti.
“Capacità di fare gli uno contro uno in ogni zona del campo, coraggio e un’organizzazione che consenta di dominare il gioco“.
I tecnici che l’hanno influenzata di più?
“Spalletti, Luis Enrique e Conte, ossessionato dalla vittoria”
Sua figlia Gaia, 20 anni, è il frutto del matrimonio con Tamara Pisnoli: ora vive e studia a Londra.
“Il primo anno lì è stato più difficile, ora è organizzatissima. È un grande orgoglio vedere la donna che sta diventando”.
È il frutto del suo primo matrimonio con Tamara Pisnoli.
“Ci siamo sposati troppo giovani e troppo in fretta. Ai calciatori consiglio di non sposarsi, fare figli e comprare case subito. Ma lo dico anche a mia figlia. A 20 anni non si ha l’esperienza per scegliere la persona della propria vita o per essere genitori. Posto che i matrimoni possono fallire anche se ti sposi a 40 anni”.
Di quella sua relazione si parlò molto quando suo suocero fu ucciso in un regolamento di conti. E spesso lei torna sui giornali per i guai con la giustizia della «ex moglie di De Rossi».
“Capisco il meccanismo mediatico legato alle persone famose, ma credo che dopo tanti anni dovrebbe esserci una sorta di diritto all’oblio o semplicemente al rispetto di chi ha separato la propria strada da un’altra».
Da giocatore su di lei sono girate anche tante leggende metropolitane.
“Hanno detto di tutto, descrivendo una vita di eccessi: che portavo la barba per coprire una cicatrice da coltello sul volto; che abusavo di alcool chiamandomi “Capitan birretta”, quando è tanto se ne bevo una insieme alla pizza; che la manica lunga della maglia nascondeva un tatuaggio nazista… Figurarsi: mia madre di estrema sinistra mi avrebbe tagliato il braccio. Oggi posso riderci, pensando a quanto queste bugie non siano più di attualità, ma quando ti toccano nel presente, temi che possano diventare un marchio. E mi chiedo sempre, ma chi è stato il primo a inventarsi queste cazzate? Chi ti odia così tanto? E perché la gente le diffonde senza scrupoli? Bisogna avere la forza di stoppare certe catene: io ce l’ho. Lo stesso vale con le chat dei telefonini: il tasto inoltra lo definisco il tasto degli infami”.
Da giocatore su di lei sono girate anche tante leggende metropolitane.
“Sapere è importante ma come trasmettere il sapere è ancora più importante. Puoi conoscere il calcio ma se non sai raggiungere i giocatori è inutile. Se non gli arrivi è peggio che se non li alleni”.
Il rimpianto?
“Non aver vinto uno scudetto con la Roma ed essere arrivato al Boca Juniors troppo tardi”.
Il sogno?
“Trovarmi a 70 anni felice della carriera da tecnico come oggi lo sono di quella da calciatore”.
L’incubo?
“Che il mio sogno possa allontanarmi troppo dalla mia famiglia“.
Ci saranno mai altri due come Totti e De Rossi nella Roma?
“Magari ce ne saranno due meno innamorati della Roma, ma che vinceranno più di noi. Più forti di me ci saranno, di Francesco la vedo dura”.
È un peccato non vedere Totti nella Roma…
“Mi spiace, ma capisco la ritrosia dei presidenti quando si avvicinano alle bandiere dei club. Non è facile gestire figure così ingombranti: ti danno lustro ma se vanno via lo stadio ti si rivolta contro».
Che partita ti aspetti questa sera tra Psg e Inter?
“Non si sa mai cosa esce da una finale, anche l’ultima dell’Inter fu imprevedibile, e oggi magari viene da pensare che il Psg sia favorito, ma negli ultimi anni l’Inter è diventata bellissima da veder giocare”.
Cosa ti colpì di Luis Enrique alla Roma?
“A me piacciono gli allenatori credibili, lui lo è perché crede nelle proprie idee, calcistiche e umane. Visionario lo è fino a un certo punto, ma è molto legato al rispetto dei valori del gruppo, ed è forse quello che mi ha colpito di più, perché era molto giovane, alla prima esperienza fuori dalla Spagna e fu un qualcosa di incredibile da scoprire”.
Un episodio che ti è rimasto impresso?
“Fu un conoscersi progressivo. Quell’estate mi operai ad un orecchio, dal quale ancora fatico a sentire, e ogni tanto andavo a Trigoria e trovavo lui e il suo staff a lavorare. Vedevo quanto erano attenti, parlavano molto del Barcellona B perché dicevano che non era importante la categoria, ma quello che volevano trasmettere. Poi mantenne la sua parola, molti allenatori dicono “Qui con me si fa così, qui siete tutti uguali”, ma poi fanno diversamente. Lui fece così. Il suo addio è stato una “sliding door” per la storia della Roma, se fosse rimasto si sarebbe costruito qualcosa di interessante”.
Stasera dalla tribuna vedrai altre facce amiche: gli italiani dell’Inter, Donnarumma, Marquinhos…
“Ciò che ti colpisce della finale è innanzitutto l’evento in sé, un qualcosa che da calciatore non ho mai vissuto. Lo vivo un pochino come un rimpianto, ho avuto una carriera a livelli alti, non ero lontanissimo ma evidentemente qualcosa mi è mancato. Stasera sarà un piacere vedere tante facce amiche, Gigio Donnarumma l’ho visto che era un bambino, e ancora oggi mi guarda con lo stesso affetto delle prime volte che parlavamo. Lo stesso Marquinhos venne a Roma che era piccolo, e poi Simone D’Amico, Luis Enrique… Mio figlio mi chiede per chi tifo, io gli rispondo che non tifo per nessuno: sarò contento per chi vincerà e mi dispiacerà per l’altra squadra, perché deve essere un dolore lancinante, calcisticamente parlando”.
Cosa ne pensi di Gasperini alla Roma?
“C’è da vedere se sarà confermata, ma ieri mi sono ritrovato con un tifoso a discutere se fosse la scelta giusta: se dobbiamo discutere del valore dell’allenatore che ha preso la Roma, non dobbiamo più parlare di calcio. Gasperini è un allenatore incredibile, che ha fatto cose incredibili, ma le ha fatte nel tempo: si è sempre migliorato, e lì ha avuto 8-9 anni di lavoro, di serenità a Bergamo. Perciò io mi auguro che abbia, non dico 8-9 anni, ma del tempo sì, per mettere a frutto le sue idee, perché porterà la Roma ad un livello successivo secondo me”.
Per poi ridarla a te?
“No, no, la porterà ad un livello successivo lui, e speriamo magari di giocarci contro un giorno, chi lo sa (ride, ndr)”.
Hai detto che Luis Enrique, Spalletti e Conte hanno influenzato di più il De Rossi calciatore. Cosa c’è di Luis Enrique nel tuo modo di allenare?
“Beh, lui è arrivato in un momento in cui il Barcellona di Guardiola aveva già iniziato ad ammaliare il mondo, lui esce fuori da quella filosofia lì. Ci ha portato a capire cosa c’era dietro quel gioco, io ne sono rimasto affascinato e ho cercato di studiarlo. Un giorno gli ho detto che volevo andare a vedere i suoi allenamenti per studiare quel modo di allenarsi, e lui mi ha detto: “Bene, perché adesso faccio tutte altre cose”. Scherzi a parte, il calcio cambia ogni anno in base a quello che i nuovi allenatori ti fanno vedere. Lui e Guardiola hanno mostrato un certo modo di giocare, lo stesso Gasperini ha poi portato il calcio ad un’altra maniera, forse proprio per ostacolare quel tipo di calcio. A me ha dato tante idee e ispirazione nel coltivare i rapporti professionali: intransigenza nel lavoro, ma sempre con amicizia e il sorriso. Io mi sono trovato molto bene, poi ogni allenatore agisce per quello che è, qualcosa avrò preso da loro ma scimmiottarli mi sembra ridicolo”.