Stasera la Roma gioca in uno stadio che è memoria viva. A Ibrox, due sciagure – 1902 e 1971 – a distanza di circa settant’anni hanno imposto una rivoluzione nelle norme e nell’architettura degli impianti.
Nel racconto del calcio britannico, Ibrox non è solo la casa dei Rangers: è il luogo in cui dolore e riforme si sono intrecciati fino a rifare, letteralmente, gradoni, uscite e regole. Dalla fine dell’Ottocento a oggi, qui sono passati tifosi, campioni e – soprattutto – due lezioni durissime che hanno cambiato per sempre come si costruiscono e si gestiscono gli stadi.

Il primo spartiacque è il 5 aprile 1902, Scozia–Inghilterra. Una sezione lignea della West Tribune Stand cede sotto il peso della folla. Nei giorni precedenti aveva piovuto molto e le infiltrazioni avevano impregnato e indebolito quella struttura, ancora in legno appoggiata su telai d’acciaio. Quando la pressione della gente si concentrò in quel punto, il piano collassò: 25 vittime e oltre 500 feriti. Da quel giorno, i grandi corpi in legno tipici dell’epoca vengono progressivamente abbandonati a favore di terrapieni e calcestruzzo: l’ingegneria degli stadi entra davvero nel Novecento. Ibrox stesso viene ripensato, e con lui l’idea di sicurezza “strutturale” nelle arene sportive britanniche.
Tre decenni dopo, il vecchio Ibrox registra record di pubblico; ma la lezione del 1902 resta scolpita nelle fondamenta. Non sarà, però, l’ultima.
Stairway 13, 2 gennaio 1971: la tragedia che crea il “Green Guide”
Il secondo trauma arriva all’uscita di un Old Firm, Rangers–Celtic del 2 gennaio 1971. Sulla “Stairway 13” si forma una calca fatale: 66 persone perdono la vita, oltre 200 i feriti. L’impatto è enorme: nasce l’inchiesta Wheatley, prende forma la “Guide to Safety at Sports Grounds” (il celebre Green Guide) e, nel 1975, il Safety of Sports Grounds Act, che porta criteri, licenze e responsabilità gestionali dentro gli stadi britannici. Ibrox viene profondamente ricostruito in chiave all-seater: non solo materiali diversi, ma percorsi, uscite, barriere, capacità e flussi calcolati scientificamente.

Il contesto di quella sera è rimasto inciso nella memoria sportiva scozzese. All’89°, il Celtic passa in vantaggio: molti tifosi del Rangers iniziano ad abbandonare l’impianto. Ma nel recupero, Colin Stein trova il pareggio. In quella manciata di secondi, sulla Stairway 13, la pressione aumenta. Secondo le testimonianze e le ricostruzioni successive, la caduta di un bambino portato sulle spalle dal padre avrebbe innescato una reazione a catena inevitabile. Inizialmente si credette a un “contro-movimento” della folla tornata indietro per festeggiare il pari, ma l’inchiesta ufficiale escluse questa ipotesi: tutti stavano uscendo nella stessa direzione.
Da allora, quel che oggi chiamiamo “standard di sicurezza” – capienze certificate, stewarding, vie di esodo, tempi di deflusso – nasce anche da qui. Molto prima delle riforme successive a Heysel e Hillsborough, Ibrox anticipa una modernità che diventerà modello. Varcarlo significa entrare in un capitolo fondamentale della cultura della sicurezza del calcio europeo.
Per la Roma, giocare a Ibrox significa anche entrare in un luogo che porta ancora addosso il peso di ciò che è accaduto. Le tragedie non si dimenticano: restano una responsabilità collettiva. E ogni volta che il calcio si gioca in questo stadio, il valore della sicurezza – e della vita delle persone – deve venire prima di qualunque risultato. E in notti come questa, in cui c’è un obiettivo europeo da inseguire, questo stadio ricorda una cosa che va oltre il campo: il calcio non è soltanto competizione, è anche memoria storica. E in certi luoghi, questa memoria è scolpita più della pietra.





