Alla vigilia della sfida tra Juventus e Roma, Luciano Spalletti ha parlato in conferenza stampa per presentare il big match dell’Allianz Stadium. L’allenatore bianconero ha toccato i temi principali della gara, soffermandosi sul momento della squadra, sull’importanza della partita in chiave classifica e sul valore dell’avversario guidato da Gian Piero Gasperini.
Arrivate da Bologna con segnali positivi. Cosa vorrebbe rivedere anche domani sera in una partita così importante come Juventus-Roma?
«Mi ha fatto piacere perché a volte sembra che quando vengo qui si dicano cose tanto per dire. In realtà era un discorso reale: avevo detto più volte che vedevo la squadra allenarsi in maniera corretta. In questa partita siamo riusciti a far vedere concretamente questo miglioramento e quello che deve essere il modo di proiettarsi verso un calcio attuale.
Lo abbiamo fatto in una gara tosta, difficile, e questo secondo me determina un’evoluzione. Ti permette di andare a prendere altri aspetti successivi, perché li hai lì, a portata di mano. Il problema spesso è riconoscerli e riuscire a mantenerli nel tempo: è proprio questa continuità che fa la differenza».

Abbiamo rivisto Milik dopo oltre 500 giorni. Come lo ha ritrovato e che valore può avere per la squadra?
«Milik domani è convocato. L’ho trovato come un bambino felice che ha la possibilità di rifare il gioco che gli è sempre piaciuto. È un ragazzo che ha entusiasmo, che conosce bene il suo ruolo: è un calciatore molto preciso per quel tipo di posizione. Ha caratteristiche fisiche, tecniche e una conoscenza del ruolo importanti. Per questo viene con noi».
Gasperini ha parlato molto bene di lei e del vostro rapporto. Com’erano le cene insieme e di cosa parlavate?
«A me Gasperini è uno di quegli allenatori che mi ha sempre incuriosito. Io sto bene con tutti, ma con lui in particolare perché il suo modo di fare calcio è un modello vero e proprio, quasi un marchio di fabbrica. Da Gasperini c’è sempre da imparare: il suo è un calcio aggressivo, uomo contro uomo, che ti viene a prendere ovunque, senza paura dello spazio alle spalle.
Questo modo di giocare lo ha trasmesso a tutti quelli che ha allenato e che oggi fanno gli allenatori: basta guardare Palladino, Juric, Bocchetti, Modesto. La Roma di oggi è l’esempio perfetto: giocatori trasformati mentalmente, calciatori totali, capaci di occupare ogni zona del campo. I difensori arrivano in area, Mancini segna, tutti partecipano all’azione.
È una squadra che ti soffoca, ti toglie libertà, ti chiude ogni linea. Se non sei capace di andare oltre il duello individuale, diventa impossibile giocare contro di loro. Questo è il grande merito di Gasperini. Come Sacchi ha rivoluzionato il calcio. Complimenti veramente alla Roma che gioca un calcio totale».
Le chiedo se, oltre alla soddisfazione di vedere la squadra crescere e seguire i dettami, questa Juventus oggi la diverte anche.
«Divertimento e bellezza dipendono sempre da ciò che uno considera attraente nel calcio. Il bello non è la vetrina perfetta, ma magari avere gli abiti un po’ stropicciati ed essere pronti a fare ciò che serve in partita. Oggi il bello è l’intensità, la corsa per recuperare un pallone, la capacità di anticipare le situazioni. Anche questo è talento.
Il calcio attuale è fatto di pressione, velocità, aggressività: se non sei rapido nel prevedere ciò che accade, non trovi spazio. In questo contesto servono margini di miglioramento, lo sappiamo, ma bisogna anche uscire dagli schemi prestabiliti, dalla codifica, per riconoscere le situazioni in tempo reale. Le partite cambiano velocemente e devi essere pronto a reagire, quasi d’istinto.
Abbiamo fatto buone gare anche quando non sono state riconosciute come tali. Penso, ad esempio, a Bodo: abbiamo sofferto, ma siamo rimasti dentro il ritmo di una partita difficile, su un campo particolare, con velocità diverse. Siamo andati avanti e di questo sono contento».
Oggi si occupano più gli spazi che le posizioni. Questo calcio che evolve richiede giocatori modello come quelli che avete in rosa?
«Il calcio oggi è cambiato molto. Prima, guardando una squadra, riuscivi a immaginare subito dove fossero tutti i giocatori perché le posizioni erano molto più ordinate e codificate. Adesso non è più così: non sai mai dove sia l’avversario, perché i calciatori cambiano continuamente posizione.
La vera battaglia che sto facendo nello spogliatoio è sull’abitudine a “guardare dove non guardi”, a prendere informazioni in continuazione. Se non lo fai, non trovi più i giocatori dove te li aspetti. Oggi gli spazi non sono tra le linee, ma tra gli avversari: devi capire dove sono finiti loro.
Questo “scanning”, questo radar continuo, è fondamentale. Non a caso oggi si premiano i giocatori che girano di più la testa. È ciò che ti permette di anticipare le situazioni. In questo senso, calciatori come Totti o Del Piero vedevano l’impossibile: trasformavano un’idea, una fantasia, in una giocata reale.
Ricordo che quando Totti pensava una giocata, Perrotta e gli altri erano già partiti, perché sapevano che la palla sarebbe arrivata lì. Oggi questa velocità è diversa, ma serve la stessa cosa: immaginazione, fantasia, capacità di trasformare il pensiero in realtà. Solo così puoi uscire da queste aggressioni continue e da queste “piccole prigioni” che il calcio moderno ti costruisce intorno».
Ieri Fabio Capello ha detto che se la Juventus dovesse battere la Roma rientrerebbe nel giro Scudetto. Condivide questa lettura?
«Capello si… Guarda, bisogna vedere fino alla fine. Questa partita è un vero esame di maturità, di quelli universitari, per tutte le cose che ci siamo detti prima. Abbiamo fatto una partita per bene, ora dobbiamo vedere come reagiamo in questa. Sono curioso, mi fa piacere andarci dentro. Mi sarebbe piaciuto avere tutti a disposizione, perché poi conta il prima e conta il dopo, qualche defezione ce l’abbiamo. Però ho visto il gruppo allenarsi molto bene, li ho rivisti molto concentrati, li ho visti davvero a livello per poter disputare alla pari una partita come questa contro la Roma. Domani sono curioso di valutarli da vicino».
La squadra a Bologna ha mostrato spirito di sacrificio e grande disponibilità reciproca. Crede che si stia costruendo questo sentimento comune, questa voglia di aiutarsi e di andare a recuperare palloni con più continuità rispetto a quando è arrivato?
«Sì, ora mi sembra che siano tutti più coinvolti in tutto quello che succede durante la partita. Non va divisa la gara in base a ciò che uno sa o non sa fare: la continuità è ciò che crea l’eccezionalità. Nel calcio di oggi essere continui è fondamentale, perché solo così poi nasce la giocata importante.
Ho visto una squadra che ha accettato duelli a tutto campo, che è andata a pressare alto anche sapendo che poi avrebbe dovuto fare lunghe corse di ricomposizione. David, per esempio, nel primo tempo è andato sempre a pressare il portiere, i compagni lo hanno seguito fino alla bandierina, sapendo che poi c’era da rifare il blocco difensivo insieme. Questa disponibilità, questa partecipazione collettiva, è una qualità fondamentale».
Spalletti:”Bremer gioca, David…”
Mister, hanno detto che Cambiaso è un giocatore che lei metterebbe in tutti i moduli. A che punto siamo del suo percorso: abbiamo visto il 50, 60 o 70% del suo potenziale?”
«Cambiaso è un giocatore che mi piace molto, perché sa fare tutto. Però in questo momento ho preferito togliergli qualche responsabilità, perché quando uno sa fare tutto rischia di fare tutto sotto livello. Lui ha potenzialità molto superiori. È rimasto male quando è uscito dal campo, ma non con gli altri: con se stesso, perché sa che può dare di più.
Ne abbiamo parlato, gli ho fatto vedere i dati: è uno che li legge, che è autocritico, che vuole migliorarsi. Non è presuntuoso, e questo è fondamentale, perché la presunzione è inallenabile. In allenamento l’ho visto rifare quelle accelerazioni, quelle giocate di qualità, destro e sinistro, relazione con i compagni, profondità. È un calciatore moderno, con caratteristiche complete, e può ancora crescere tanto».

Le faccio due nomi, Bremer e David. Se per Bremer domani sarà il momento di tornare dall’inizio e se per David ormai è un dato di fatto che si parte con lui e poi si vede?
«Bremer gioca e c’è anche un po’ di valutazioni da fare. Che vuol sapere David? Che hanno fatto bene a non portarlo a cena. Perché la prima volta che è venuto a cena l’hanno invitato e lui ha grattato il parmigiano sulla pasta alle vongole e non l’hanno più portato. Gli basta su David. Perfetto».
Qual è il punto fondamentale della squadra? E quanto incide il mercato in questo momento?
«Per quanto riguarda il mercato, io non ho parlato di niente con la società e non è che mi interessi granché, perché è un discorso che abbiamo affrontato subito all’inizio. Sapevo delle circostanze e del momento della Juventus, quindi non vado a cercare niente e non parlo di niente se non vengono loro a dirmi qualcosa.
Per quanto riguarda invece il tipo di calciatori, noi li abbiamo. Anche Locatelli, per esempio, ora mi sta piacendo molto per come sta interpretando il ruolo: la sua caratteristica è dare equilibrio, personalità e forza alla squadra, ma è anche uno che sa giocare a calcio. Deve accorciare un po’ i tempi delle giocate, velocizzare il possesso, ma lo può fare e lo sa fare.
Anche altri come Miretti, Koopmeiners, stanno adattandosi bene: sanno giocare di prima, sanno tenere palla, sanno alternare le situazioni. Non bisogna fare sempre solo ciò che piace, ma capire cosa serve in quel momento. Sotto questo aspetto siamo abbastanza tranquilli. Se poi ci sarà da parlare di mercato, lo farò con la società dicendo quella che è la mia idea».
Quanto cambia la Juventus senza un giocatore centrale come Koopmeiners e cosa si aspetta da questo periodo senza impegni infrasettimanali?
«Non so prevedere cosa sarà la Juventus senza le coppe, posso solo immaginarlo. Quello che cerco di fare è lavorare sulle abitudini dei calciatori, perché sono quelle che poi determinano il futuro. Dobbiamo creare abitudini corrette: saper giocare da dietro, ma non in modo sterile o solo orizzontale. Dipende sempre da quello che fa l’avversario.
Quando squadre come la Roma vengono ad attaccarti alto, spesso il giocatore libero diventa il portiere. Bisogna saperlo usare. Oggi tutti pressano alto perché i difensori hanno vantaggio sui palloni lunghi: se così non fosse, nessuno lo farebbe. Serve però chi regge quel tipo di gioco, chi prende palla addosso e tiene la squadra alta.
Koopmeiners in questo è molto importante. È un giocatore che sa uscire da dietro, ha piede, sa triangolare, si inserisce. Senza di lui bisognerà capire se riusciremo comunque a essere bravi come in alcune partite a risalire il campo con qualità. Lui interpreta molto bene questo lavoro.
Non esistono partite facili o difficili: quello che conta è giocare sempre allo stesso modo, mettendo tutta la forza che si ha. Nel calcio vince chi agisce prima, non chi reagisce. Quando reagisci, l’azione è già avvenuta. Bisogna saper leggere prima le situazioni.
La cosa fondamentale è giocare “da Juventus”, indipendentemente dall’avversario. È questo che fa la differenza. Le abitudini, il modo di stare in campo, il modo di interpretare la partita: è lì che si costruisce il futuro. Fino a oggi siamo stati giudicati sotto livello, lo sappiamo. Ora lavoriamo per crescere, migliorare e creare qualcosa che duri nel tempo».





